A testimonianza della sua continuità di rendimento, Simona Halep è attualmente la n°1 nella Race to Singapore, ovvero la classifica che tiene conto solo dei risultati del 2017. Le ottime performance sulla terra (semifinale a Stoccarda, vittoria a Madrid, finale a Roma e Parigi) e i buoni piazzamenti sull’erba (quarti sia a Eastbourne che a Wimbledon) hanno rimediato ad un inizio di stagione piuttosto negativo, in particolare la netta sconfitta al primo turno degli Australian Open per mano della statunitense Shelby Rogers.
Tuttavia, alla rumena resta il rammarico per aver fin qui smarrito lungo il cammino due ghiotte occasioni: vincere il primo slam in carriera e diventare n°1 del ranking WTA. Al Roland Garros, Simona era arrivata con una fiducia condizionata a causa della distorsione alla caviglia rimediata nella finale del Foro Italico contro Elina Svitolina. La provvidenziale settimana di riposo aveva però restituito la Halep alle vicende agonistiche in ottima forma tanto che, fino ai quarti, non aveva smarrito nemmeno un set e appena 19 giochi.
La svolta, che sembrava decisiva, era avvenuta nella rivincita con l’ucraina; la Svitolina si era infatti trovata avanti di un set e 5-1 nel secondo, era stata per ben sei volte a due punti dalla vittoria ma si era fatta riacciuffare e trascinare al tie-break. Qui Elina aveva avuto un match-point ma non era bastato ad impedire la rimonta della Halep, poi dilagante nel terzo set (6-0). Passata la paura, in semifinale Simona si era imposta a Karolina Pliskova e a quel punto era scesa in campo il giorno della finale nei panni della grande favorita. Perché dall’altra parte della rete c’era una debuttante assoluta a quei livelli, la lettone Jelena Ostapenko che per arrivare fin lì aveva lottato come una leonessa aggiudicandosi quattro partite al terzo set, di cui ben tre recuperando da 0-1.
Invece, pur partita meglio della giovane avversaria, alla lunga Simona non è riuscita a fronteggiare la spregiudicata potenza della ventenne di Riga che, a tratti, le ha fatto fare la figura della spettatrice. Delusa ma non del tutto abbattuta, la rumena ha affrontato l’erba con la giusta fiducia, anche in virtù dei risultati del passato. Alla sua settima partecipazione ai Championships, Simona poteva vantare infatti una semifinale (2014, sconfitta da Eugenie Bouchard) e un quarto di finale (2016, battuta dalla Kerber).
Quest’anno, sempre nei quarti (ed eccoci alla seconda occasione fallita), per effetto dei risultati delle sue dirette rivali alla leadership mondiale, la Halep è stata a due punti dalla vetta (che, val la pena sottolineare, avrebbe raggiunto anche trionfando a Parigi) quando si è trovata avanti 5-4 e due servizi nel tie-break del secondo set contro Johanna Konta; la britannica d’Australia però ha rimontato, pareggiato e infine vinto 6-4 il terzo infliggendo un’altra delusione alla rumena.
La rincorsa alla prima posizione nel ranking non è certo finita qui, anche se difficilmente potrà avvenire prima degli Us Open. Da qui a New York infatti, la Halep dovrà scontare i 1530 punti ottenuti l’anno scorso grazie alle vittorie di Bucarest e Montreal e alla semifinale di Cincinnati. Considerando che ha rinunciato a difendere il titolo nel torneo di casa, ben difficilmente potrà migliorare il bottino e quindi, per scavalcare la Pliskova (dalla quale attualmente la separano solo 185 punti), dovrà sperare nei risultati negativi della ceca, che l’anno scorso uscì al terzo turno agli Open del Canada ma vinse il Premier 5 di Cincinnati. È invece assai più probabile che sia l’ultimo major stagionale a dirimere la questione, sempre che nel frattempo la Muguruza non faccia la voce grossa e, tra le due litiganti, sia proprio lei a godere e diventare la 24esima leader nella storia della WTA.