Ci sono certe storie tormentate, tormentatissime, fatte di ascese vertiginose e di cadute rovinose, di infernali vicissitudini, sparizioni, apparizioni, sofferenze, gioie, poi ancora sofferenze, gioie, ritorni e mancati ritorni. La storia di Jelena Dokic è una di queste, una storia quasi surreale, costellata di continui colpi di scena, di affermazioni annunciate, infortuni, e poi di ritorni, il primo, poi il secondo, e ancora il terzo.
Nel 1999, all’età di 16 anni e qualche mese, Jelena eliminava da Wimbledon una certa Martina Hingis, allora 19enne ma già sulla strada verso la gloria tennistica; due anni dopo, nel 2001, al foro italico, Jelena trasformava la sua favola in una straordinaria realtà, sconfiggendo in finale un’altra grandissima promessa, la francese Amelie Mauresmo. Sembra il trampolino di lancio per l’enfant prodige destinata a dominare in lungo ed in largo, l’inizio di una gloriosa carriera in grado di conquistarsi un posto negli annali del tennis femminile: nel 2002 Jelena, all’età di 19 anni, raggiunge la posizione numero 4 del ranking WTA. Un’ascesa inarrestabile verso l’olimpo del tennis, o almeno così pareva. Due anni dopo infatti la favola di Jelena si trasformava in un incubo, costringendo l’australiana al primo di una lunga serie di burrascosi stop che hanno tenuto lontano dal tennis un talento cristallino che avrebbe saputo probabilmente scrivere una importante pagina del nostro nobile sport.
Partiamo però dal principio: Jelena Dokic nasce il 12 Aprile 1983 nell’allora Jugoslavia, ad Osijek, oggi quarta città della Croazia per importanza e numero di abitanti. Nel 1994 la sua, così come tante altre famiglie dell’est Europa, è costretta a lasciare la propria terra natia a seguito della guerra civile iugoslava, approdando in Autralia. Stabilitasi oramai a Sidney ed adattatasi allo stile di vita australiano, Jelena brucia le tappe e si abbatte come un uragano sul circuito WTA: all’età di 16 anni ha già raggiunto la 43esima posizione del ranking; la scalata al vertice raggiunge il suo apice, come già detto in apertura, nel 2001, quando Jelena entra nella top 5 assestandosi al quarto posto. I problemi però iniziano già nel 2001: dopo un’aspra polemica con gli organizzatori degli Australian Open, Jelena decide di lasciare l’Australia, trasferendosi a Belgrado e acquisendo la cittadinanza serbo-montenegrina; nel frattempo però la bella Jelena inizia a rimpicciolirsi sempre più sotto l’ombra prepotente ed ingombrante del padre, Damir Jokic, ultimo di una lunga serie di padre padroni, una categoria tristemente nota al mondo del tennis in gonnella. Damir, camionista serbo dedito ai piaceri dell’alcool, ben più spesso ebbro che sobrio, era uno di quei padri autorevoli che il tennis femminile conosceva bene, un’ombra costante che accompagnava la figlia in ogni suo spostamento: aveva di fatto costretto una giovanissima Jelena a prendere in mano la racchetta in tenera età, attribuendole la onerosa responsabilità di sostenere economicamente la famiglia coi suoi successi, in modo tale da permettere a lui di abbandonare la vita da camionista ed alla madre di cessare la sua attività nel forno in cui lavorava. Da allora Jelena non aveva più lasciato la racchetta, così come il padre, corroborato nelle sue convinzioni dai prematuri e travolgenti successi della figlia, non aveva più smesso di esercitare pressioni sulla figlia, riversando su di lei le proprie attese, spronandola a dare il meglio di sé, senza però essere in grado di farlo in modo costruttivo: la presenza costante di Damir corrode infatti la psiche di Jelena, così come le percosse ripetute che egli infligge all’indifesa figlia ne corrodono il fisico, già di per sé fragile e costantemente oggetto di numerosi infortuni. Jelena arriva al punto di rottura, e nel 2004 decide di chiudere col tennis: è il primo addio, un lungo periodo di riflessione e di elaborazione di un passato burrascoso ed infernale che tiene lontana la iugoslava dal mondo de tennis per ben 4 anni.
A cavallo fra 2008 e 2009 invece il primo rientro: Jelena è cresciuta, ma reca ancora dentro di sé il fardello del rapporto violento con quel Damir, origine di tutti i suoi successi ma soprattutto di ogni suo male. La nostra eroina però attinge ad una qualche fonte sconosciuta e trova le energie per avviare una redentiva risalita verso il tennis che conta: parte dal basso, alla fine del 2008, ma una wild card agli AO del 2009 le offre subito la possibilità di dimostrare al mondo quanto ancora valga. Quarti di finale in Australia, sconfiggendo Caroline Wozniacki, e 74esima posizione del ranking. Poi però ancora alti e bassi, prestazioni eccellenti alternate a sconfitte inspiegabili; in mezzo, l’annuncio shock: un lapidario “My fahter abused me“, una confessione che sa di liberazione, che porta con sé il peso di anni di sofferenza soffocati nel silenzio assordante di una ragazzina costretta a subire le pressioni, fisiche e psicologiche di un padre troppo ingombrante, quattro perentorie parole che nel giro di poco tempo fanno il giro del mondo. Sembra tutto finito, Jelena sembra finalmente libera di volare, ma la sfortuna non ha ancora esaurito le sue cartucce. Dopo il ritorno al successo in un torneo WTA nel 2011, concretizzatosi nel modesto torneo di Kuala Lampur, Jelena è costretta nuovamente allo stop, questa volta a causa di un infortunio al polso, che la porta sotto i ferri per un delicatissimo intervento. “Ho pensato che non sarei mai più stata in grado di tenere in mano una racchetta” ha dichiarato, aggiungendo che l’operazione ha riguardato la rimozione di cisti tra le giunture e la ricostruzione dei tendini in tre dita. “Il giorno dopo non potevo nemmeno muovere la mano. Ancora tre mesi dopo non riuscivo a scrivere, figuriamoci se potevo giocare a tennis. Dal mio punto di vista è una fortuna poter essere di nuovo in campo e provare a rientrare”.
Jelena non molla, dando prova di grande resilienza, e tenta, a fine 2013, un ennesimo rientro, che sa di rivalsa personale. Sotto la guida di Todd Woodbridge l’australiana si presenta a Melbourne con i migliori auspici, riuscendo ad ottenere una wild card, di fatto dovutale, che le permette di accedere al main draw. Il destino però non vuole proprio assecondare i piani degli dei del tennis, e Jelena perde subito, al primo turno del torneo di doppio, e si ritira, questa volta definitivamente.
Il calvario dell’australiana però continua: dopo il ritiro le vengono diagnosticati dei problemi alla tiroide, complicazioni che si ripercuotono su tutto il funzionamento del suo già fragile organismo, intaccandone in particolar modo il metabolismo. E’ una lotta aspra, l’ennesima combattuta dalla bella Jelena, una lotta che la figlia di Damir deve combattere con un fisico debilitato dai 30 chilogrammi persi nell’arco di pochi mesi, una lotta che però vede nuovamente uscire vincitrice la trentaquattrenne originaria di Osijek. “Negli ultimi 18 mesi ho dovuto risolvere i problemi alla tiroide, e solo egli ultimi mesi la situazione è migliorata. E’ stata molto dura, è una malattia che è importante da risolvere perché impatta molto sulla stato di salute generale, in particolare sul metabolismo e sul peso. Quando sono stata meglio e ho ricevuto l’ok dai medici mi sono trasferita a Melbourne e ora voglio tornare nel mondo del tennis”.
Jelena non sa infatti stare lontana dal tennis, dal punto di scaturigine di tutti i suoi mali, da quel mondo che da paradiso si è trasformato in inferno; Jelena probabilmente ha odiato il tennis, ma ora è tornata ad amarlo, come un amante che non riesce a dimenticare il primo amore, per quanto esso l’abbia fatto soffrire. A Novembre uscirà “Unbreakable”, l’autobiografia di una donna indistruttibile, irriducibile, che oggi scrive un nuovo capitolo della sua vita, il cui leitmotiv è però sempre quella pallina gialla e bianca che ha a lungo rincorso sul campo. A Gennaio la Dokic ha iniziato una nuova carriera da commentatrice per i microfoni di Fox Sports, ed ora si dedica all’allenamento, nella speranza di trovare una piccola campionessa da accompagnare in un cammino il cui esito possa essere diverso da quello intrapreso da lei, probabilmente sotto la guida sbagliata.
Jelena deve essere un esempio per tutti i noi, la massima espressione di una resilienza che si è tradotta lungo la sua vita in una sempiterna voglia di tornare, di smentire tutti, di smentire sé stessa, di provare a sé e al mondo che in Jelena non c’è mai stato nulla di sbagliato. L’eterno ritorno di Jelena ci sorprende ancora.