Karolina Pliskova è, apparentemente, la donna più triste del mondo.
Nata e cresciuta a Louny, smunta cittadina con poco più di 18.000 abitanti attanagliata da un costante grigiore che muta inconfutabilmente lo spirito dei suoi abitanti, si fa strada nel complicato mondo della WTA mostrando un tennis lineare, rude ed efficace.
Chi la guarda, lo dico con certezza e tranquillità, non lo fa certo per le emozioni che la fredda dama ceca produce nel cuore degli appassionati. Rigida, a tratti ferrosa, si avvale, per compensare l’evidente lentezza negli spostamenti, di una splendida e lucida visione di gioco, dosando sapientemente forza, angolo e rotazione.
Venticinque candeline spente ed una sorella gemella, se possibile, emotivamente ancora più opaca, con la quale, da anni, si cimenta in terribili sfide di doppio, conquistando, di tanto in tanto, qualche titolo.
Agile ingresso in una top ten tremebonda in cui, per qualità indiscusse, potrebbe farla presto da padrona.
Per ora, un’unica, gigantesca, pecca nella frizzante carriera della damigella di Üstí nad Labem (simpatica regione nord occidentale, che vanta, tra le felici località d’interesse, un rilievo di origine vulcanica denominato RIP), ovvero la mancanza di un acuto Slam, dove, per motivazioni più o meno influenti, costantemente crolla.
Ma la bella Karolina, a suon di agili mazzate, vuole riscattare questo triste luogo comune, approfittando, già che c’è, della nullità rappresentata dal panorama attuale, in cui svariate giocatrici monocolpo si alternano ai piani alti della classifica.
Saranno mesi di magra, per lei, quelli sulla terra rossa. Da Giugno, però, quando le leggiadre gonnelle danzeranno sui sacri campi in erba, vedremo la Pliskova di nuovo vicina a vincere un Major.
D’altronde, se la Kerber ne ha vinti due, non vedo perché lei, che, dopo la Radwanska, gioca il tennis migliore di tutte, non possa farlo.
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Alla sorella niente auguri?!?