La triste storia di Jiro Satoh

Correva l'anno 1934: una nave diretta in Europa, per guidare il Giappone in Coppa Davis contro la squadra australiana. Una responsabilità troppo forte per Jiro Satoh, stella del team del Sol Levante. Così decise di sparire.
di Andrea Cherchi

Il tennis, lo ripetiamo sempre, nasconde tante storie. Alcune sono curiose, altre sono divertenti, altre sconcertanti ed altre ancora addirittura tragiche.

Quella che raccontiamo oggi, basandoci su un racconto di oltre 40 anni fa del giornalista John Cottrell, di Sports Illustrated, appartiene all’ultima categoria. In un caldo pomeriggio dell’aprile del 1934 la nave di linea Hakone Maru, appena uscita da Singapore, si trovava sullo stretto di Malacca in direzione di Penang. Mentre i passeggeri oziavano nella lounge o al bar dopo la cena, chiacchierando, ordinando qualcosa da bere, leggendo o giocando a carte, il campione di tennis Jiro Satoh, il più celebrato sportivo giapponese del momento, si era rinchiuso al piano di sotto nella sua cabina di prima classe.

Laggiù, vestito di flanella bianca e con la giacca ufficiale della sua squadra nazionale di Coppa Davis si sottoponeva ad una sorta di rituale di “auto-flagellazione”, davanti ad un sacrario improvvisato. Su un tavolino utilizzato come altare, aveva posizionato un vaso con delle orchidee, le fotografie del padre e della fidanzata e due candele accese. Un piattino contenente del cibo giapponese era piazzato nel centro del tavolo, come in segno di offerta; alle sue spalle aveva appeso la bandiera del Sol Levante. Sulle sue spalle sentiva il peso della responsabilità, delle aspettative che un’intera nazione nutriva nei suoi confronti.

Nel 1932 e 1933 Satoh aveva mostrato il suo valore a livello internazionale, sconfiggendo campioni conclamati del livello di Cochet, Crawford, Wood, Vines ed anche il grande Fred Perry. Semifinalista in Australia (1932), al Roland Garros (1931 e 1933) ed a Wimbledon (1932 e 1933), in assenza di ranking ufficiali, era stimato come il terzo giocatore del mondo. Ora si era imbarcato su una nave diretta in Europa per guidare il Giappone in un incontro di Coppa Davis contro l’Australia e per tentare un nuovo assalto all’ambita corona di Wimbledon. Ma questo peso lo schiacciava.

Chiuso nella solitudine della sua cabina non pregava per la vittoria, ma per il perdono. E’ difficile capire perché un atleta di solo 26 anni, tanto forte, ammirato e combattivo, con una vita felice, con alle porte un imminente matrimonio con la sua bellissima fidanzata, la tennista connazionale Sanaye Okada, abbia improvvisamente abbandonato ogni speranza. Apprezzato e stimato da tutti, rispettato da colleghi ed addetti a lavori, per la sua classe e sportività, da tutti preso ad esempio, Satoh aveva probabilmente una personalità disturbata. Attorno alle 23,30 il compagno Jiro Yamagishi entrò nella cabina, trovandola vuota. Sul piccolo tavolino-altare erano visibili due lettere. Una indirizzata all’intero team di Coppa Davis spiegava quanto Satoh, reduce da una polmonite, fosse preoccupato per il suo stato: “Non credo potrei essere capace di aiutare la nostra squadra. Al contrario, potrei essere fonte di impiccio e preoccupazione. Date il massimo per fare meglio di ciò che avrei potuto fare. Io prego per voi e credo in voi. Sarò al vostro fianco in campo, con lo spirito”. Nella seconda lettera, diretta al capitano della nave, si scusava per i guai e l’imbarazzo che il suo gesto avrebbe potuto provocare. Ogni ricerca fu vana. Jiro Satoh non fu mai ritrovato.

Andrea Cherchi

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