Il 21 dicembre 1988 il volo Pan Am 103, decollato dall’aeroporto di Heathrow, a Londra, e diretto all’aeroporto JFK di New York, precipitò un’ora dopo il decollo a Lockerbie in seguito ad una detonazione causata da un ordigno esplosivo nascosto in una valigia nella stiva del velivolo. L’esplosione uccise 259 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, fra cui 189 cittadini statunitensi e 11 residenti della cittadina di Lockerbie in Scozia.Quel giorno, due prenotazioni non arrivarono in tempo al chek-in. I loro nomi sono Mats Wilander e Sonja Moholland, sua moglie.
Poco più di tre mesi prima, precisamente l’11 settembre, Mats Wilander strinse in pugno la terza prova del Grande Slam stagionale sconfiggendo Ivan Lendl nella finale dell’US Open con il punteggio di 6–4 4–6 6–3 5–7 6–4. In perfetta linea con il suo tennis solido, basico ma allo stesso tempo versatile, dove tattica e resistenza erano un tutt’uno teso a sfibrare l’avversario sotto ogni punto di vista, le 4 ore e 55 minuti di battaglia che scandirono l’ultimo atto newyorkese scrivendo un entusiasmante pagina di storia sportiva, permisero allo svedese di sfilare il primo posto del ranking al ceco.
A ventiquattro anni, nel pieno del suo vigore fisico, forte di un gioco collaudato al punto da renderlo temibile in ogni superficie, sostenuto da un’intelligenza analitica ineguagliabile anche perché capace di spaziare in pregevoli improvvisazioni, Mats Wilander era entrato di diritto nell’Olimpo del tennis insieme a 32 titoli ATP tra cui 7 prove del Grande Slam e 3 Coppa Davis.
all’anno dopo però Mats non fu più lo stesso. Non c’è da stupirsi che il pensiero ricorrente di una morte evitata per un futile ritardo, perché il fato così aveva voluto, abbia cambiato la scala di valori di Mats Wilander, un uomo che sin da ragazzino aveva fatto del ragionamento, del pragmatismo, i dogmi su cui costruire, mattone su mattone, una carriera strepitosa sin dagli esordi. Pressoché imbattibile da juniores – in quanto due volte campione europeo under 16 (1979, 1980), vincitore dell’Orange Bowl nel 1979, trascinatore della Svezia alla conquista della Sunshine Cup under 18 nel 1980, campione europeo under 18 e del Roland Garros Juniores nel 1981 – a sedici anni Mats Wilander era già pronto per raggiungere il terzo turno a Wimbledon, mentre a diciassette ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per imporsi in uno slam, il Roland Garros.
Correva l’anno 1982 quando Mats si presenta a Parigi senza essere accreditato come testa di serie e batte via, via Cortes (6-4 6-3 6-4), Motta (6-3 6-4 4-6 6-2), Luna (6-3 6-1 6-0), per quindi depennare agli ottavi la testa di serie n.2 Ivan Lendl con il punteggio di 4-6 7-5 3-6 6-4 6-2), sbarazzarsi ai quarti di Vitas Gerulaitis per 6-3 6-3 4-6 6-4), superare José luis Clerc in semifinale per 7-5 6-2 1-6 7-5 – non senza essersi reso protagonista di un gesto che ha lasciato trasparire tutta la sua correttezza dato che sul primo match point, quando l’arbitro già aveva decretato la fine dell’incontro, ha concesso a Clerc la possibilità di rigiocare il punto in quanto, Mats solo, si era accorto che la palla dell’argentino giudicata out aveva toccato la riga – ed infine avere ragione su Guillermo Vilas per 1-6 7-6 6-0 6-4 dopo ben 4 ore e 42 ore di scambi interminabili che hanno generato una noia tale da indispettire persino il pubblico; ma obiettivo dello svedese era sfiancare il bianco-celeste e lo ha fatto, fosse pure con lob a tre metri dalla rete.
Una determinazione, una predisposizione nel perseguire la vittoria, che di pari passo con il modus operandi portato in campo hanno contribuito a bollarlo come “il secondo Borg”; ma per quanto educatissimo e incorruttibile in azione, dietro le quinte Mats ha sin da subito dimostrato un’integrità, una consapevolezza di sé stesso, degna di un fuoriclasse: «Non sono il secondo Borg, sono il primo Wilander». Dati alla mano, mentre l’Orso svedese si spegneva, Mats è germogliato, esploso, e ha vinto, negli anni più floridi del tennis, quando dall’altra parte della rete si stagliavano eccellenze che rispondevano al nome di John McEnroe, Jimmy Connors, Ivan Lendl, Stefan Edberg e Boris Becker, ma pure seconde linee quali Miroslav Mecir, Henri Leconte, Yannick Noah e Pat Cash. Nel 1983 contro il francese colored Mats perde la finale bis del Roland Garros, ma fa suoi ben nove tornei tra cui Montecarlo, Cincinnati e l’Australian Open dove sull’erba di Kooyong destabilizza un fiotto di attaccanti doc compreso John McEnroe, fermato al termine di una semifinale capolavoro, per quindi sbarazzarsi senza indugi di Ivan Lendl. Leggermente più in sordina si rivelerà il 1984, chiuso con soli tre titoli tra i quali però spicca la seconda stoccata a Melbourne, questa volta inflitta a Kevin Curren.
L’evoluzione da palleggiatore instancabile ad offensivista con cognizione di causa, sarà un metodo che Mats Wilander estenderà dall’erba alla terra rossa. Se sui prati australiani Stefan Edberg gli nega il tris, il secondo Open di Francia afferrato nel 1985, sarà infatti il frutto di attacchi in contro-tempo, colpevoli di sorprendere, per non dire mandare ai matti, le più svariate tipologie di antagonisti; da Thierry Tulasne a Boris Becker, da Emilio Sanchez a Tomas Smid, da Henri Leconte a John McEnroe, per arrivare al re della stagione Ivan Lendl. Strategia che sembra perdersi per strada l’anno successivo dove delude un po’ ovunque, compresi gli slam dove non mette i piedi in nessun quarto di finale, ma che si arricchisce nel 1987 tramite l’uso coscienzioso di smorzate al limite dell’illeggibile nonché di un rovescio in back, a una mano, più profondo e armonioso. Annata quest’ultima in cui agguanta cinque titoli, comprensivi di Roma e Montecarlo, e si vede negare al match clou il Roland Garros , l’US Open e il Master dal dominatore Ivan Lendl.
L’anno magico, il 1988, è carico di significati sin da gennaio, quando Mats Wilander diventa l’unico giocatore capace di vincere lo slam australiano, al suo primo anno sul cemento, tanto sull’erba quanto sul duro. Un successo che si dispiega tra l’altro al termine di due splendide vittorie riportate in semifinale su Stefan Edberg, sconfitto per 6-0 6-7 6-4 3-6 6-1, e in finale sul beniamino di casa Pat Cash, arresosi per 6-3 6-7 3-6 6-1 8-6. Seppure dal sogno slam, rafforzato dalla marcia trionfale incisa al Roland Garros – dove scampato a Zivojinovic al terzo round, ha concesso ben poco sia a Ronald Agenor che a Emilio Sanchez, per quindi stritolare Andre Agassi per 4-6 6-2 7-5 5-7 6-0 e asfaltare in finale Henri Leconte per 7-5 6-2 6-1 – Mats è stato svegliato bruscamente ai quarti di Wimbledon dove ha racimolato sette games da Miloslav Mecir, il tramonto di stagione ha confermato come la vittoria conseguita a marzo sul cemento di Miami non fosse stata opera del caso, in quanto lo svedese ha inciso per la quarta volta il proprio nome nell’albo d’oro di Cincinnati per infine avventarsi sull’US Open, probabilmente il torneo che più di ogni altro ha enfatizzato tanto la capacità di concentrazione, quanto gli aspetti poliedrici del suo tennis.
La tragedia scampata a Lockerbie, una catena di incomprensioni apparentemente irrisolvibili con la moglie Sonja, un tumore al sistema linfatico diagnosticato al padre, si mescolarono forse alla stanchezza mentale accumulata negli anni di professionismo e a un comprensibile senso di appagamento. Ne è conseguito un 1989 disastroso dal quale Mats è riemerso, seppur parzialmente, solo l’anno dopo, quando ha raggiunto la semifinale all’Australian Open e ha riposto in bacheca il suo 33esimo e ultimo titolo a Itaparica. La crisi di risultati è tornata a farsi sentire nel 1991, anno in cui un infortunio a una gamba patito al Queens lo spinge ad optare per un ritiro momentaneo. «Le cose non possono restare le stesse per sempre. Tu cresci, perdi le persone che ti sono state vicino, diventi tu stesso un padre… Le priorità cambiano»; spiega Mats nel 1994, quando si riaffaccia timidamente nel circuito, infliggendo qualche zampata qua e là, senza però riuscire a essere più propriamente competitivo. L’ultimo match della sua carriera lo disputa nel 1996 al Roland Garros sul Suzanne Lenglen quando perde 8-6 al quinto contro Wayne Ferreira.
La triste realtà è che sedutosi sul trono di n.1 del mondo nel cuore di Mats si esaurì il sacro fuoco e gli eventi della vita contribuirono a farne un uomo diverso, cambiato. Perse il padre, non ritrovò più la serenità in campo, né gli stimoli per vincere. Riconquistò invece l’adorata Sonja e poco alla volta ritrovò il sorriso. A diciassette anni aveva riscosso l’ammirazione del mondo rigiocando un match point in semifinale al Roland Garros. A venticinque ha accettato la feroce verità che il tennis altro non era che una parentesi. Fuori da quel campo, oltre la montagna, c’era la vita vera. Mats Wilander l’aveva scalata la montagna. La ridiscese come un uomo qualunque, senza drammi, né rimpianti.