Abbiamo intervistato Alessandro Stoppani, storica voce di SuperTennis Tv, che ci ha parlato dei suoi esordi e della sua ormai lunga carriera, ma anche sul tennis Atp e Wta. Fra i NextGen il pupillo di Alessandro è il greco Stefanos Tsitsipas, ma afferma che non perderebbe mai una gara di Berrettini, a suo dire ormai destinato a salire fra le prime 30-20 posizioni mondiali in breve tempo.
Ormai sei un telecronista affermato di SuperTennis, Come sei entrato in questa grande famiglia?
La mia esperienza su SuperTennis è ufficialmente scattata nel gennaio del 2011, nel mese di gennaio, con la Hopman Cup di scena a Perth. Ricordo come fosse oggi l’emozione di quanto ho saputo di essere entrato a far parte a tutti gli effetti di questo canale, un’emozione che non potrò mai rimuovere dalla mente e dal cuore. Un’avventura che si è venuta a creare dopo anni di dura gavetta e di esperienze formative a livello professionale, nella città in cui sono nato e cresciuto, nella mia Viterbo. Da quando sono sbarcato su SuperTennis sono ormai trascorsi ben 8 anni (per la cronaca dopo Lorenzo Fares sono il telecronista più “longevo” del canale) e, ogni qualvolta mi presento in cabina di commento con tanto di cuffia e microfono, sono sempre trainato dalla passione e dall’emozione di poter fare ciò che più amo. Lo ritengo un privilegio, anche perché di questi tempi è sempre più complicato poter fare della propria passione una professione.
Dove hai cominciato a muovere i primi passi in questo settore?
Ho collaborato per diversi anni sulla carta stampata (Il corriere laziale, Il Tempo, La voce di Viterbo, Melting Pot, dove mi era stata riservata una rubrica, più varie collaborazioni sul web) nel contesto radiofonico, oltrechè in quello televisivo a livello locale, come telecronista per la Viterbese calcio e per il basket viterbese. Un’altra esperienza che ha segnato i miei inizi di carriera, è stata quella di speaker ufficiale per lunghe 9 stagioni della squadra di basket femminile di Viterbo che ai tempi militava in serie A1, vale a dire nella massima serie della palla a spicchi. Ero un pò il “cantore delle gesta” del basket viterbese. Ricordo con piacere ed orgoglio quell’esperienza, tanto più che in quegli anni avevo coniato (inizialmente per gioco) dei soprannomi per ogni giocatrice che faceva parte della Virtus Viterbo. Parallelamente, però, il tennis ha sempre accompagnato ogni mia giornata, da appassionato, da grande appassionato, con il sogno un giorno di poter diventare un telecronista. Fin da bambino, infatti, il desiderio di intraprendere questa professione mi ha pervaso, al punto che abbassavo il volume pur di simulare le telecronache. Insomma, prima di approdare a SuperTennis mi sono come si suol dire fatto le ossa e ne ho maturate di esperienze che hanno arricchito il mio bagaglio personale e professionale.
Quando hai scoperto il tennis?
Con il tennis è stato amore in prima vista, è subito scoccata la scintilla, questo meraviglioso sport l’ho abbracciato fin da adolescente, nei primi anni 90, in quella che considero a tutti gli effetti l’epoca d’oro del tennis mondiale. Un’epoca che era un concentrato di campioni quali Sampras, Agassi, Edberg, Becker, Courier, Stich, Chang, Rafter, Stich, Ivanisevic, Krajicek. Non ricordo un’epoca così qualitativa, con così tanti campioni protagonisti di una stessa generazione. Venni letteralmente rapito dalle epiche sfide tra Edberg-Becker e, successivamente, da quelle tra Sampras e Agassi. Contrasti di stili, di gioco, di personalità che rendevano avvincente ogni loro confronto. Uno dei primi match ai quali ho assistito dal vivo e che più mi ha entusiasmato è stato quello che vide protagonista il compianto Federico Luzzi, di cui ero grande tifoso, al Foro Italico, edizione 2001, quando sconfisse il talentuosissimo Hicham Arazi. Quel giorno, Federico, mise in campo un tennis brillante, spettacolare dando un saggio di quelle che erano le sue capacità. In quello stesso torneo, all’esordio, Federico costrinse alla resa l’allora numero 12 al mondo Arnaud Clement, che pochi mesi prima era stato finalista agli Australian Open, con tanto di scalpo di un diciannovenne Roger Federer. Cito Federer e quel 2001, poichè quell’anno per la prima volta nella mia vita mi recherai a Wimbledon e per la prima volta ebbi l’onore di ammirare le gesta di un “imberbe” Roger, il quale nel periodo in questione non aveva ancora sfondato il muro della top-ten. Molti ricorderanno quell’edizione del 2001 per il successo che Federer mise a segno ai danni di Pete Sampras in ottavi, da tanti considerato un simbolico passaggio di consegne. Personalmente ho avuto la fortuna di assistere dal vivo all’incontro di secondo turno che opponeva Federer a Malisse, pensate che quell’incontro si disputò su uno dei campi secondari, se non erro il campo 13, ero in prima fila, ovviamente lo svizzero all’epoca era una grande promessa, lasciava trasparire enormi potenzialità, ma la sua carriera doveva ancora decollare. Ripensandoci oggi mi viene da sorridere pensando che Federer, nel suo giardino di casa, possa essere stato relegato sul campo 13. Un altro ricordo che mi lega da adolescente al tennis dal vivo, uno dei primi in assoluto, è quello risalente al 1994, quando ho assistito (ad appena 13 anni) sul centrale del Foro Italico al clamoroso successo dell’allora numero 411 Corrado Borroni ai danni di Kafelnikov, che ai tempi era il nono giocatore del mondo. Nemmeno il più inguaribile degli ottimisti quel giorno avrebbe potuto prefigurare un successo del tennista milanese (un vero e proprio carneade) il quale invece seppe sconfessare tutti giocando la partita della vita, un match capolavoro grazie al quale stese al tappeto il campione russo. Ho ancora negli occhi le impressionanti accelerazioni a tutto braccio di Borroni con il suo splendido rovescio ad una mano. Peccato che quell’exploit sia rimasto isolato e peccato che la carriera del nativo di Garbagnate sia rimasta imprigionata tra i tanti problemi di carattere fisico.
Quando hai pensato che il nostro sport potesse diventare un lavoro?
Prima che cominciasse la mia avventura su SuperTennis ho maturato alcune collaborazioni su siti specializzati come Spaziotennis (grazie all’amico e collega Alessandro Nizegorodcew), nonché su Tennisworlditalia.com, sito per il quale ho collaborato circa 3 anni, con cadenza quasi quotidiana. Da adolescente scrivevo anche sul sito di Rino Tommasi, all’interno di un forum dove ci confrontava e si argomentava di tennis. Un sito per il quale redigevo anche alcuni articoli. Fino ad allora però più che un lavoro questa era una passione che non sapevo a quale sbocchi mi avrebbe portato. Mi sono reso conto che questo sport sarebbe diventato il mio lavoro, non appena ho messo piede su Supertennis, non appena mi sono cimentato nella prima telecronaca di prova, lì ho capito che avrei potuto fare della mia passione un lavoro. Perciò ci tengo a ringraziare sentitamente chi mi ha dato l’opportunità di poter lavorare con questa emittente e di chi ha puntato e continua a credere nel sottoscritto. Tra l’altro alcuni dei colleghi sono diventati con il tempo degli amici essendo persone speciali, di grande spessore umano ancor prima che professionale. Con alcuni di loro ho instaurato un rapporto d’amicizia anche al di fuori del contesto professionale. Insomma, quella di Supertennis è un po’ diventata una sorta di seconda casa e di seconda famiglia. Ritengo che la passione sia la base fondante di questa professione. In questo lavoro è fondamentale aggiornarsi continuamente e quotidianamente. Occorre stare sempre sul pezzo, documentarsi, informarsi, poichè ci si può e ci si deve migliorare di continuo. Per quanto mi riguarda sono sempre rivolto verso il raggiungimento costante dei miei obiettivi e sono particolarmente esigente con me stesso.
I Fab Four ormai sono diventati tre: chi pensi possano essere i loro successori?
L’eredità dei fab-four è davvero pesante da raccogliere. Si tratta di campioni a tutto tondo, a 360°, che hanno segnato non solo un’epoca, ma la storia vera e propria del tennis. Campioni meravigliosamente unici nel loro genere e che non hanno a mio avviso successori. Nel tennis attuale servono tante componenti per potersi affermare, sappiamo quanto importante sia l’aspetto mentale e la personalità. Un giocatore si basa su un insieme di elementi non tutti visibili ad occhio nudo. I colpi e la tecnica se non supportati dalla testa contano relativamente. Serve maturità di testa. Come già accennato per me non c’è un successore o qualcuno che possa ripercorrere le loro stesse orme, ma ci sono potenziali campioni che possono eccellere, su tutti, Tsitsipas, seguito da Zverev, Auger Aliassime, De Minaur, Khachanov, Coric, Shapovalov. .Tsitsipas ha colpi, fisico e mentalità e tutto lascia presagire che la sua sarà una carriera di primo livello. Comincio ad avere qualche riserva su Zverev, che quest’anno sta deludendo a più riprese ed è uscito con le ossa rotte dai due 1000 americani. Mi aspettavo che Lendl avesse un altro impatto sul tedesco, fino ad ora capace di conquistare 3 masters 1000 e le Atp finals ma ancora mai protagonista a livello slam. E’pur vero che il tedesco è ancora molto giovane, ha potenzialità di prim’ordine, il tempo è tutto dalla sua parte, però in questo momento qualcosa che non funziona c’è. E i flop sempre più frequenti negli slam cominciano a far riflettere. Mi piace molto De Minaur (una sorta di Hewitt in miniatura) che non avrà un peso di palla importante, ma che una capacità di corsa e di applicazione straordinaria, oltre ad una certa abilità nel leggere le situazioni di gioco. Farà molta strada l’australiano, vedrete. Su Shapovalov ci sarà bisogno di più tempo affinchè riesca a sistemare i tasselli del suo tennis, il suo è un gioco con pochissimi margini; certo è che il Canada si trova tra le mani due crack come Shapovalov e Auger Aliassime, i quali possono fare a lungo le fortune della nazione dalla foglia d’acero. Entrambi hanno grande facilità nel manovrare lo scambio, però allo stato attuale Auger Aliassime ha una maggiore consistenza e un superiore acume tattico. Tra l’altro si muove anche egregiamente per la sua altezza. Un Aliassime che mi sembra la sintesi pressochè perfetta del tennista moderno e concilia alla perfezione fisico e tecnica.
In campo femminile non esiste una vera numero uno: chi pensi possa venir fuori col tempo come leader Wta?
Ormai da tempo le gerarchie del tennis femminile sono in subbuglio. Ad ogni torneo può realmente accadere di tutto, il trionfo di Andreescu a Indian Wells ne è un’ulteriore conferma. Come leader nel tempo mi sento di puntare su Naomi Osaka (lei che a dispetto dei soli 21 anni ha già due slam in bacheca su altrettante finali), certo l’improvvisa separazione con Sacha Bajin sembra averle tolto delle certezze ed averla un po’ disorientata, ma sono altresi sicuro che ben presto saprà tornare ai suoi massimi livelli. Non appena avrà trovato il giusto equilibrio tra potenza e solidità anche Sabalenka potrà rimanere molto a lungo al vertice, sebbene nemmeno lei stia vivendo un periodo di gran brillantezza. Il personaggio del momento è rappresentato da Bianca Andreescu, la cui ascesa è stata travolgente. Il magic-moment che sta vivendo in queste settimane è etichettabile come un punto di partenza di una rotta destinata a portarla molto in alto. Andreescu mi sembra una tra quelle che variano maggiormente le traiettorie, la velocità e la rotazione dei colpi. E sembra avere sempre in mente la soluzione idonea per rompere gli schemi delle sue avversarie. Questa ragazza per giunta ha una personalità e una sicurezza nei propri mezzi non inferiore al suo talento tennistico. Comunque, a livello di tennis in gonnella, ancor più che nel maschile è assai arduo poter fare previsioni, anche perchè il tennis femminile è oggetto di continui cambiamenti e soggetto a tante variabili. Ormai è assodato come ci sia spazio per tante, i valori sono livellati, i pronostici sfuggevoli. Ogni torneo si presta a qualsiasi tipo di sorpresa e può finire con il più inaspettato degli epiloghi. Il fatto è che nessuna sembra in grado di poter prendere in mano la pesantissima eredità di Serena Williams, ad oggi quella più accreditata per riuscirci sembra essere Naomi Osaka. Attenzione anche a Belinda Bencic, la quale quest’anno sembra completamente rigenerata, avendo compiuto uno scatto di mentalità. Tra le “millenials“ mi intrigano Yastremska e Anisimova, le quali davanti a sé hanno un futuro più che roseo, così come Marketa Vondrousova, che è dotata di un ventaglio non indifferenti di soluzioni.
Quale giocatore del circuito vorresti sempre commentare e perché?
Non c’è un giocatore su tutti che vorrei commentare, direi che ce n’è più di uno. Scadrei nella banalità se rispondessi Federer o Nadal, certo non nego che commentare Roger abbia sempre un sapore particolare, essendo lo svizzero una leggenda vivente del tennis. Tra i tennisti della nuova generazione mi diverte molto commentare Tsitsipas per qualità di tennis e personalità; tra l’altro, ho avuto l’opportunità nel febbraio del 2017 di tenere a battesimo l’esordio dell’ellenico, avendo raccontato il suo primo match in assoluto nel circuito contro Tsonga, nel 500 di Rotterdam. Mi piace altresì commentare Shapovalov, per la sua capacità di esprimere un tennis creativo e mai banale, ma anche Auger Aliassime (che ho recentemente commentato a San Paolo) mentre per motivi patriottici provo una certa emozione nel commentare Matteo Berrettini. Lo scorso mese di febbraio ho raccontato il successo che Matteo ha centrato a spese del quasi top-ten Karen Khachnaov, in quel Sofia, un match che mi ha coinvolto, anche perché è stata fin qui la vittoria più importante in carriera dell’azzurro in termini di ranking.
In Italia ormai in campo maschile abbiamo tanti giocatori tra i primi 100. Chi è il tuo preferito e perché?
Il tennis maschile italiano sta vivendo un periodo d’oro, foriero di soddisfazioni. Seguo con trasporto ed affetto tutti i tennisti azzurri, ma non faccio mistero che su tutti il mio preferito al momento sia Matteo Berrettini. Ho una predilezione per il romano e credo che l’Italia abbia trovato un giocatore su cui puntare da qui ai prossimi anni. Tra l’altro sono amico del suo coach, nonchè “mentore” Vincenzo Santopadre (che per un periodo è stato anche commentatore tecnico su SuperTennis) grande persona a livello umano, oltreché un coach di elevata competenza professionale. Da quando ha mosso i suoi primi passi a livello challenger ho avuto subito a cuore le sorti di Matteo Berrettini, mi ha colpito fin da principio il suo modo di stare in campo, il suo equilibrio mentale, ma anche la capacità di essere un “big-server”. Una locuzione che non siamo affatto abituati a pronunciare, mai forse ci era accaduto di accostarla ad un nostro giocatore. Da allora compatibilmente ai miei impegni cerco di non perdermi alcun suo incontro. I suoi margini di miglioramento devono indirizzarsi prevalentemente sul rovescio e sugli spostamenti. Matteo ha un gioco che si sa ben adattare ad ogni tipo di superficie e di condizione, fermo restando che la terra rimane la sua superficie d’elezione, quella più conforme al suo tennis. Ha tanta forza nel braccio, ma anche un’ottima mano e può avvalersi di uno dei dritti con più rotazione nel circuito. Talvolta però qualche sconfitta di Berrettini viene accompagnata da critiche ingenerose da parte di alcuni appassionati (non solo sui di lui, più in generale su altri tennisti azzurri) su siti specializzati, io inviterei alla cautela, non solo su Berrettini ma su qualsiasi giovane che rappresenta il nostro tennis. Ci vuole equilibrio di giudizio poiché sparare sentenze dopo una singola sconfitta non ha alcuna logica. Dobbiamo dare tempo a questi ragazzi di crescere, di maturare, per poter farsi largo in un mondo complesso ed esigente come questo, possibilmente liberi da pressioni che possono rivelarsi controproducenti. Al tempo stesso capisco che in Italia ci sia fame di tennis, di vittorie, di un campione che da troppo tempo ci manca, ma la strada imboccata è quella giusta, abbiamo un movimento che al maschile funziona, è in salute, e sta producendo giocatori di indubbio valore.
Come pensi possa invece il tennis italiano in gonnella riprendersi dopo l’era di Vinci, Errani, Schiavone e Pennetta?
Eravamo un po’ tutti consapevoli che con l’addio di Pennetta, Vinci e Schiavone avremmo vissuto tempi duri, avari di soddisfazioni, d’altro canto abbiamo vissuto l’epoca d’oro del tennis femminile azzurro, un’epoca vincente come non mai, del tutto irripetibile. Allo stato attuale tutto il peso è sulle spalle di Camila Giorgi, che prima o poi ho la sensazione che saprà compiere un grande exploit in uno degli appuntamenti clou del circuito. Sembra essersi tutto capovolto, a livello maschile il movimento sprizza di salute, mentre il movimento al femminile è alle prese con una crisi di ricambi e il timore è che si debba soffrire ancora per un po’. Io non sarei però così disfattista, di certo al momento non si intravedono giocatrici che possano ripercorrere le orme delle varie Pennetta, Vinci, Errani e Schiavone, però, all’orizzonte giovani che stanno tentando di emergere ci sono. Su tutte Elisabetta Cocciaretto, che lo scorso anno si è messa in ottima evidenza a livello juniores,. In ottica futura ci sono altre ragazze interessanti della nuova generazione che stanno crescendo sotto la guida dei tecnici federali; mi riferisco a Federica Rossi, Lisa Pigato, Federica Sacco, Melania Delai ed Eleonora Alvisi, tutte ragazze nate nei primi anni 2000 che hanno ottime potenzialità. Dobbiamo attendere, pazientare e lavorare sempre più a fondo sulle ragazze che ho sopramenzionato.
Regole NextGen: quali prediligi e quali no?
Personalmente sono favorevole ad alcune regole, altre mi suscitano qualche perplessità. Il warm up abbreviato e lo shot clock sono le regole più futuribili e che maggiormente mi convincono. Onestamente invece ho più di una titubanza sul no let e i game abbreviati. Il killer-point in particolare non mi esalta e, in tutta onestà, mi sembra che si presti più al doppio che al singolare, mentre sono concorde circa il fatto di sostituire i giudici di linea con l’utilizzo tecnologia. Può essere una soluzione funzionale per abolire alcune sviste che si verificano non di rado. In tal senso abbiamo visto quanto prezioso sia stato il ricorso ad occhio di falco.
Fase finale Coppa Davis: come vedi l’Italia?
L’Italia potrà recitare un ruolo da protagonista alle prossime nuove finali di Coppa Davis, abbiamo infatti un team ben assortito e ben attrezzato. Non dimentichiamoci che allo stato attuale disponiamo di ben 2 top-20 ed un potenziale top 20 come Matteo Berrettini, più una certezza di solidità e risultati in Davis come Andreas Seppi, sul quale si può sempre far affidamento. Anche in doppio abbiamo più opzioni su cui capitan Barazzutti può contare. Bolelli in questa specialità rappresenta sempre una garanzia. Insomma, siamo certamente competitivi, tuttavia bisognerà vedere quello che sarà lo stato di forma e di condizione dei nostri giocatori nel prossimo mese di novembre, anche perché quest’appuntamento arriverà al termine di una dispendiosa stagione e non certo sulla superficie che prediligiamo. Ritengo che l’Italia sia tra le outsider più quotate, sebbene l’esordio con il Canada di Shapovalov e Auger Aliassime sarà più che impegnativo.
A proposito di Coppa Davis: come giudichi il nuovo format?
Dispiace che sia stata snaturata l’essenza di una competizione così ricca di fascino e tradizione. Certo è che serviva un’inversione di rotta per rendere questa manifestazione più appetibile ai big, che si sono via via allontanati dalla davis, specie dopo averla conquistata. Qualcosa si doveva cambiare, questo è fuori discussione, il timore è che si sia cambiato troppo, ma staremo a vedere quelle che saranno le risultanze. Ci vorrà del tempo per abituarsi a questo nuovo format, per assimilarlo, e per stabilire se potrà o meno essere avvincente. Proprio per questo prima di pronunciarmi vorrei assistere alle finali di Madrid, dopodichè si potrà trarre un primo bilancio consuntivo.