-Prima ancora che il match inizi, noto in Nadal un chiaro segno di tensione. Durante il palleggio di riscaldamento si gira spesso di dritto, evitando di offrire il rovescio all’argentino, e tenta il vincente.
Strano, mi dico.
Pronti via ed è subito un gran match, scambi lunghi ed intensi. Delpo, oltre ai soliti proiettili che ormai non sono nemmeno più in grado di far cronaca, manovra con il rovescio, abbandonando quasi totalmente l’utilizzo del back come già gli avevo visto fare nel quarto che, due giorni fa, lo vide opposto a Federer. La sfida, oltre che per qualità degli attori, è splendida anche a livello uditivo. Il suono del dritto di Nadal e Del Potro, all’impatto, è totalmente diverso. Quello dell’argentino, per intenderci, è il rumore tipico che un barattolo emette la prima volta che viene aperto. Uno schiocco sordo e preciso, che non lascia spazio a repliche.
Nel caso dello spagnolo, invece, assistiamo ad uno schiaffo, meno potente ma più subdolo.
Delpo vince il primo set dominando pressapoco tutti gli scambi. Dall’ultimo punto del primo parziale, però, la partita cambia rotta. Nadal fa cose che nessuno è in grado emulare, pensando magari, dopo ogni palla corta accarezzata con dolcezza o passante liberato con disumana forza, a quanto assurde siano le teorie che lo descrivono soltanto come fisicato randellatore. Ogni tanto la Torre tenta di risalire, prova, con l’aiuto del pubblico costretto al boato di stupore dopo ogni suo dritto, a riagganciare un match già perso. Non può, perché Nadal è troppo forte e tatticamente intelligente.
Che precisione, che determinazione nel rincorrere ogni palla.
Di nuovo in finale agli Us Open, dopo quattro anni da quel 2013 che, insieme al 2010, rappresenta per lo spagnolo la miglior stagione in carriera.
Il commentatore, nel tentativo di esprimere un commento durante il quarto ed ultimo set, è capace soltanto di dire “just phenomenal”.
Già, just phenomenal, raggiungendo la terza finale Slam dell’anno che giustifica, se mai ce ne fosse bisogno, il perché Nadal sia tornato numero 1 del mondo. Quello di stasera, dopo aver patito e subito con fermezza l’inizio esaltante di Delpo, è il Nadal migliore della stagione.
E non è ancora finita.
-Il vostro effervescente cronista è costretto, a causa di una fase particolarmente acuta della propria “malattia tennistica”, nonché per una voglia difficilmente ignorabile di narrarvi le splendide gesta degli eroi americani con la massima precisione possibile, ad una lunga notte in bianco.
Prego, non c’è di che.
Il primo singolo di giornata, dopo aver assistito alla finale del doppio maschile vinta da Robert e Tecau sui due Lopez, non è la miglior medicina per destarmi dal torpore che la tarda ora porta con sè come naturale conseguenza. Esperti mi suggeriscono di guardare Anderson, ‘fidati, gioca bene’. Mi fido e decido di autoimpormi il tremendo supplizio, salvo poi scoprire che, effettivamente, il sudafricano ha dalla sua parecchie qualità.
Un servizio tremendamente efficace. La seconda, ancor più della prima, è impressionante per traiettoria del rimbalzo. Dritto meglio del rovescio, ma entrambi, per traiettorie e penetrazione, sono in questo torneo fondamentali dall’altissimo tasso di rendita.
Ricordo un giocatore esprimere in questo torneo un tale livello di gioco, soffocando gli avversari con inaudita violenza. Si tratta di Marin Cilic, e tutti quanti sappiamo cosa accadde nel 2014. Kevin, domenica, partirà ovviamente sfavorito con Nadal, ma giocando a mente libera riuscirà senza dubbio a togliersi le proprie soddisfazioni.
Sta di fatto che, fattore ben più importante, volge finalmente al termine la landa della desolazione, incoronando Anderson come proprio raggiante campione. Premio alla carriera e targhetta d’ottone da appendere al muro.
Thank you Sir.
A domani, forse.