Dal blog The Prickly Pear – di Ludovica Infantino
“A mio avviso il tennis è uno degli sport mentalmente più duri, perché sei sempre solo. Sei molto solo in campo, non hai nessuno da criticare o a cui chiedere aiuto, sei tutto solo e se ti capita di avere una giornata storta, hai una giornata storta e la devi affrontare. Negli sport di squadra se hai una giornata storta, la tua squadra può comunque vincere, puoi lasciar perdere o sostenere il tuo compagno, lui fa goal e tutto va bene, la tua squadra vince e tu mantieni la fiducia vincente. Nel tennis sei solo. È questa la cosa più sfiancante”
(Ernests Gulbis)
Quando sei in campo gli spettatori vedono due giocatori che lottano per portare la pagnotta a casa e per ripagarsi dai sacrifici fatti negli anni, ma sapete qual è la realtà? In campo c’è un giocatore in più oltre al nostro avversario: noi stessi.
Quando sei piccolo impari a giocare a tennis, impari ad essere coordinato con il tuo corpo, all’inizio ci litighi un po’ ma alla fine se sai prenderti cura di lui diventa il tuo migliore amico. Il tuo maestro ti insegna le varie rotazioni, ti dice cosa fare, come comportarti in certe situazioni, ti dice “stai con la testa nel campo perché sennò sei fregato, solo mettendoci il cuore puoi uscirne vivo”. A 14 anni hai imparato a giocare, sei coordinato, ottima atletica alle spalle, tutti ti dicono “sono sicuro che diventerai qualcuno”, insomma hai tutte le carte in regola per passare i 100 al mondo, e poi? “Purtroppo non è abbastanza forte mentalmente”
Qualcuno ha detto “la passione è maestra di vita”, ma altri hanno detto “se vi allenate così tanto diventerete qualcuno”, però altri insinuano “l’Italia non è il posto giusto, dovreste allenarvi all’estero”.. A tutti questi geni sapete cosa vorremmo dire? “La passione è maestra di vita, avete ragione, ma chi ce lo dice che tra 10 anni diventeremo campioni ? Chi ce lo dice che all’estero troveremo un posto in cui ci alleneranno meglio di come ci allenano in Italia in cui troveremo il maestro che abbiamo sempre cercato?Chi lo dice che l’allenamento è l’unica carta vincente?”
Gioco da 15 anni, ho colpito così tante palline che potrebbero costruire con le stesse il ponte sullo Stretto, mi sono allenata così tanto da dire “Potrei non allenarmi più per tutta la vita”, ho rotto circa 6 fusti, cambiato racchetta 4 volte, cambiato maestro circa 8 volte, cambiato più di 3 città, a 12 anni sono andata via di casa per trasferirmi in Accademia, ho odiato fino alla morte questo sport, ma sapete una cosa? Questo sport è stato il mio maestro di vita ma nonostante tutto lo amo come il primo giorno.
Ciò che ci lega più di tutto a questo sport è il “nonostante tutto” e l’infinita passione che ci mettiamo ogni giorno, in ogni palla che colpiamo, in ogni scatto verso la palla, ogni mattina svegliandoci prima di andare a giocare una partita, perché in fondo per noi ogni partita è come se fosse l’ultima, per noi è una questione di vita o di morte. Non esiste il “non ce la faccio”, all’inizio lo pensi poi ti rendi conto che non vai da nessuna parte e allora acceleri.
Sapete qual è il momento più brutto durante la giornata di un tennista? Il match! Ho sentito persone che ovviamente non hanno mai giocato e dicono “io non vedo nessuna differenza tra l’allenamento e il match”. Beh io, anzi noi, la vediamo eccome! La vediamo quando sai che tuo padre ha speso più del suo stipendio per farti fare quel torneo, quando sai che dietro quel match c’è una storia più lunga del big bang, la differenza la vedi quando sai che tutti e dico TUTTI si aspettano qualcosa da te, perché per motivi contrattuali qualcuno ha deciso di puntare su di te e ci investe su non facendoti pagare un soldo ma ovviamente vorrà un resoconto dei soldi spesi negli anni perché magari spera che diventerai un nuovo Federer e allora dopo tutta questa lista di pensieri entri campo. In questo preciso momento entri in campo, ma non da solo, entri in campo accompagnato dai mostri mentali, improvvisamente tutti quei pensieri si “materializzano” e ti fanno perdere la concentrazione. Quando meno te lo aspetti uno di questi pensieri si va vivo e in quel momento preciso avviene quello che nel mondo tennistico viene chiamato “calo”, che non è il calo di zuccheri, ma un calo mentale che poi diventa fisico ed emotivo. Se sei bravo allora il “calo” dura solo qualche minuto, solo il tempo di un game che ti può costare la partita, che vuoi che sia? Ovviamente è in un tono ironico, ma se non dovesse durare solo qualche minuto, allora sei fregato.
Sapete qual è il secondo momento più brutto nella giornata di un tennista? Probabilmente se stai leggendo e sei un tennista lo sai già, quel momento è il momento in cui guardi fuori dal campo verso il tuo angolo. Guardando la televisione durante una partita, l’angolo del giocatore, ovvero quel posto in cui trovate famiglia, coach, e chi più ne ha più ne metta, sembra un paradiso.. Ma sapete com’è in realtà prima di arrivare in televisione? Ve lo racconto. Mettiamo che il tennis sia un palazzo: al primo piano inizi a giocare, abbiamo passato quello step, quindi passiamo al secondo livello nel quale tu cominci a fare i primi tornei e tutti ti sostengono, quindi arriviamo al piano che ci interessa: il terzo. Cominciano i tornei internazionali, i tuoi genitori spendono una barca di soldi, se non stai benissimo economicamente devi farti in quattro perché vuol dire solo una cosa: sacrificio. Vuol dire dormire in posti da una stella, mangiare al fast food se ti va bene, avere pochi completini, quindi ad un certo punto ti rompi le scatole e vuoi di più e l’unica cosa da fare è vincere. Ma se non vinci? Beh a quel punto sono cavoli! Ma se invece stai bene economicamente? Vi faccio un quadro più chiaro, se stai bene economicamente il sacrificio non ti piace, hai tutto, il papà è sempre pronto a comprarti qualcosa di nuovo, anche se non è sempre così.
Abbiamo detto che ci troviamo al terzo piano, piano in cui nessuno è famoso tranne per sentito dire tra i giocatori. Nei tornei troverete persone che dicono “gioca più sul dritto perché non sa farlo” o “falle un po’ di palle corte perché la corsa in avanti non è il suo forte”, ma avrei una lista di frasi che ho sentito dire durante i tornei. Quindi troviamo una situazione in cui tutti sono accaniti perché tutti vogliono fare soldi e tutti vogliono diventare famosi. Ma la situazione com’è in campo realmente? Torniamo al momento in cui vi parlavo dell’angolo, qui trovate genitori che non hanno mai giocato che urlano ai figli su come giocare pur avendo il coach accanto, trovate genitori che prendono a schiaffi il figlio che ha perso una partita al terzo set, trovate il genitore che sta zitto tutto il match e dopo essere arrivati in hotel imposta una discussione pazzesca al figlio per non aver giocato tutta la partita “in top” e per non aver fatto ace in quel 30-40. Ma la buona notizia è che 1 genitore su 10 bacia il figlio dopo aver perso una partita, e sapete chi è quella persona che probabilmente andrà avanti nel 70% dei casi? Il figlio baciato dalla madre, e sapete perché? Semplice, tutti prima o poi si stancheranno di ricevere ceffoni e insulti dopo aver perso la partita, tutti vogliono sentirsi dire “bravo, anche se hai perso hai giocato bene”. Ma quante volte succede questo? Ve lo dico io, mai o, anzi, pochissime volte.
Ci dicono “dovete farvi le ossa per giocare”, ma quello che loro non hanno capito è che le ossa ce le facciamo già in campo giocando contro il nostro avversario e contro noi stessi e in più uscendo dal campo dobbiamo sentirci pure umiliati? Mi spiace ma non funziona così, motivo per il quale l’80% dei ragazzi o delle ragazze che conosco ha smesso di giocare, ma i rimproveri non sono l’unico motivo in effetti.. C’è l’uscita del sabato a cui devi rinunciare perché solitamente i tornei iniziano nel weekend, c’è il fidanzato dei 16 anni a cui devi rinunciare perché la tua routine è casa-allenamento-studio, c’è il viaggio in estate a cui devi rinunciare perché tutti i tornei sono in estate e “non devi assentarti dagli allenamenti perché sennò che ci siamo allenati a fare tutto l’inverno”, ma non solo, devi sentirti anche dire dai professori che non studi abbastanza. Quindi tennisti, la prossima volta che vi sentite dire “il tennis è una cavolata”, sentitevi pure liberi di mandarli a quel paese. Ma fortunatamente hai quel santo del tuo maestro che ogni volta ti incoraggia e ti fa andare avanti NONOSTANTE TUTTO. Inutile elencare i pianti dopo i match persi, ma indescrivibili i momenti in cui alzi la coppa al cielo e ringrazi tuo padre per averti fatto iniziare.
Quando ti alleni, o a Tirrenia per esempio, ti fanno una domanda “cos’è che ti differenzia da un campione?” e tu sei davanti al tipo che ti ha fatto la domanda e non sai cosa dire e scapperesti, però rispondi e sei costretto a mettere giù le armi. Vi starete sicuramente chiedendo “beh?! qual è la risposta?”, la brutta notizia è che non sono mago Merlino e quindi non posso rispondere con esattezza, ma la buona notizia è che in un certo senso la sappiamo in molti: forza mentale. E’ quella forza che ti fa andare avanti quando tutto va male, quella forza che ti permette di tirare dall’altra parte quella palla in più, diventi forte nel momento in cui sconfiggi i tuoi mostri e li fai venire al tuo avversario, diventi forte quando sai che hai passato una vita a sacrificarti per questo sport e non vuoi tornare più indietro! E quindi? Chi diventa forte? Purtroppo ho solo una brutta notizia, diventano forti in pochi.
“SE LA GENTE POTESSE SENTIRE QUELLO CHE CI DICONO I COACH CAPIREBBE CHE E’ MOLTO PIU’ DI COLPIRE UNA SEMPLICE PALLA” (Andre Agassi)
Questa è una lettera che avrei voluto scrivere tanto tempo fa, ma non l’ho mai fatto, oggi mi sento in dovere di farlo per me e per tutti i miei amici tennisti che hanno smesso di giocare o che continuano a farlo, a volte è bello essere capiti.
1 comment
Bella. Grazie